Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  giovedì 23 giugno 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Socialismo libertario (10)

di Andrea Caffi

Borghesia e ordine borghese.

 

Il “capitalismo” quale lo descrive Marx nel Capitale non data, è vero, che dal principio della rivoluzione (tecnica) industriale, e cioè dal 1750 circa. C’è tuttavia una “preistoria” nella quale le speculazioni dei banchieri fiorentini, dei Fugger, della Borsa di Anversa nel 1530-1570, le manifatturiere, i mercanti sfruttatori dell’industria domestica o urbana hanno avuto una parte sempre più predominante a partire dal principio del XV secolo. Ma c’è, più essenziale, il fatto che il regno del danaro – ossia di quel tipo di rapporti sociali che strappavano a un poeta greco del VI secolo a.C. il grido indignato: “L’uomo non vale più di quel che possiede in moneta d’oro” – è infinitamente più antico. Quando esattamente questo regno della ricchezza misurabile in oro e argento si è affermato a Babilonia o nelle città fenicie? Per le città della Jonia, possiamo constatare che esso determina tutti i rapporti economici, politici, ideologici, già alla fine dell’VIII secolo, verso il 720 a.C.

 

Quanto alle “classi medie” sfruttatrici di una numerosa popolazione di schiavi o di plebe, esse sono esistite fin da quando esistono delle città, e nelle città dei mercanti, dei banchieri, degli armatori, degli artisti ed artigiani, dei giuristi di professione, dei medici. Esse si sono sottomesse, adattandosi a regimi politici assai diversi; hanno spesso accettato di pagare pesanti tributi ai monarchi e alle aristocrazie guerriere; altre volte, son riuscite a costituirsi in un patriziato che governava sulla base di una separazione fra “popolo grasso” (upper middle class) e “popolo minuto” (lower middle class). Il fatto essenziale rimaneva la garanzia (nelle monarchie orientali, spesso precaria), o la consacrazione legale assoluta (come nel diritto romano) della proprietà privata ereditaria, liberamente alienabile e trasmissibile per contratti e testamenti.

 

Si ha così una varietà infinita di combinazioni in cui il “peso economico” dell’apparato di governo e del bon plasir di un principe autocrate, un minuto di sicurezza e di regolarità assicurate alle “attività produttive” private e un numero imponente di caste parassite (nel senso che consumano senza produrre) si equilibrano o squilibrano a vicenda. Nella categoria dei parassiti rientra la Corte: si pensi all’immensa clientela di Versailles, dell’Escorial, di Schoenbrunn, di Peterhof, e alle centinaia di corti principesche in miniatura della Germania e dell’Italia dell’VIII secolo che divoravano sinecure, prebende, pensioni: ci sono il clero, l’esercito, i detentori di monopoli, così frequenti nelle monarchie assolute; ci sono i proprietari terrieri “assenteisti” che si facevano portare dai loro intendenti il prodotto delle loro terre, ossia della fatica di servi o di schiavi: tutta la teoria della “rendita” che, secondo Adam Smith, Ricardo e Malthus si sovrappone al profitto e al salario, deriva dall’esistenza di questi parassiti; ci sono i domestici, a proposito dei quali si trova nelle Lettres persanes di Montesquieu (XCVIII) la curiosa osservazione: “Ce corps (des laquais) est plus respectable en France qu’ailleurs. C’est un séminaire de grands seigneurs. Il rieplit le vide des autres Etats”; c’è infine la turba di rifiuti umani: mendicanti, lebbrosi, storpi, infermim che si era pur obbligati, per carità o per semplice profilassi sociale, a mantenere al livello del “minimo vitale”.

 

Tutto questo era assolutamente contrario al “razionalismo” di una vera società borghese quale la concepivano i fisiocrati, Adam Smith, Ricardo, Bentham. Il borghese, che sfrutta il lavoro, ma lavora anche lui, ha orrore del parassitismo: ha soppresso le feste, perseguitato spietatamente la mendicità, denunciato con un’ipocrisia più o meno puritana o metodista le “orge” degli oziosi e represso nei suoi figli il minimo segno di “fantasia”. Eppure è precisamente questo miscuglio di parassitismi irrazionali e di “mitologie” contraddittorie che una minoranza di borghesi unita alla massa popolare (o “proletaria”) hanno dovuto affrontare in Francia  nel 1789-93, e in Russia come in tutta l’Europa orientale nel 1917-18.

 

La “società borghese” pienamente padrona del meccanismo capitalista analizzato genialmente da Karl Marx, non è stata insomma (come il feudalesimo) che un fenomeno strettamente limitato nel tempo e nello spazio. Ma l’oppressione economica, sociale e politica è un fatto costante delle società organizzate, appena acquisito quella complessità che siamo usi chiamare “progresso”: altrettanto costante, in uomini coscienti, è la protesta e la lotta contro l’oppressione. Per questo direi che, nella misura in cui per socialismo s’intende lotta contro l’oppressione, lo sfruttamento, la subordinazione materiale o morale, in nome dell’interesse e della dignità della società nel suo insieme, converrebbe che i socialisti non si chiudessero in visioni semplicistiche come l’antagonismo “capitale-lavoro” o “borghese-proletario”. Non c’è infatti davvero da temere che, abbandonate queste formule, svanisca il fatto dell’oppressione, non si riesca più a identificare l’ingiustizia e scada l’esigenza della denuncia e della lotta.

 

Se si accettano le vedute di Henri Pirenne, il quale ha creduto di scoprire l’origine della borghesia occidentale nei mercatores (i quali nel X secolo erano ancora privi di statuto legale, e spesso nomadi), un regime economico e politico che meriti la qualifica di “borghese” non ha avuto il suo pieno sviluppo che in alcune città divenute repubbliche indipendenti fra il XII e il XIV secolo; dopo un’eclissi che si può spiegare con il trionfo delle monarchie assolute insieme alla turba di privilegiati-parassiti da esse sostenute, come col sovvertimento dei mercati e delle “fonti di ricchezza” causati da una parte della conquista turca e dall’altra dalla scoperta delle Indie “occidentali e orientali”, borghesia vera e propria si ebbe in taluni paesi veramente moderni: Olanda, Inghilterra, Stati Uniti d’America, Francia, Svizzera, Belgio. Le “classi medie” non hanno veramente dominato che in poche città libere del Medioevo e del Rinascimento, come Firenze e Gand, e non per molto tempo; altrove, come a Venezia e nelle città anseatiche, un patriziato oligarchico (risultante dall’unione di gente arricchita con i proprietari terrieri, per paura del popolo) ha profondamente alterato le tendenze “naturali” di un’economia e di una “comunità” autenticamente borghesi. Essenziali all’economia borghese sono, infatti, il lavoro produttivo e la circolazione illimitata dei beni scambiabili; mentre essenziale alla “comunità” borghese è una solidarietà egualitaria (con “promozioni” della famiglia, nella fabbrica e nella bottega); e questo intra muros, ossia all’interno della città dove sono state abbattute le “torri” oppressive dei signori e dei vescovi.

 

10) Segue.  

 

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